Progettata nella seconda metà dell’800 con l’intento di essere essa stessa un’opera monumentale, al pari delle altre circostanti (Maschio Angioino, Real Teatro San Carlo, Palazzo Reale, basilica di San Francesco Di Paola) la galleria Umberto I, sin dalla sua costruzione, divenne immediatamente un fondamentale polo della città di Napoli, grazie anche all’ubicazione che la vede circondata dalle principali strade commerciali quali via Toledo, via Santa Brigida e la vicina via Chiaia. Con i suoi quattro bracci in stile liberty e la sua scenografica cupola, sin dall’epoca della sua realizzazione a fine Ottocento la Galleria è stata il centro mondano della città.
L’ingresso principale, che si apre su via San Carlo, è costituito da una facciata ad esedra, che in basso presenta un porticato architravato, retto da colonne di travertino e due archi ciechi, l’uno d’accesso alla galleria, l’altro aperto sull’ambulacro.
Seguono un ordine di finestre a serliana, separate da coppie di lesene dal capitello composito, ed un secondo piano con finestre a bifora e lesene simili alle precedenti. L’attico presenta coppie di finestre quadrate e lesene dal capitello tuscanico, queste ultime tra le finestre sono scanalate.
L’arco di destra mostra, sulle colonne, da sinistra verso destra, l’Inverno, la Primavera, l’Estate e l’Autunno, soggetti tradizionali che rappresentano lo svolgersi del tempo a cui sono legate le attività umane, il Lavoro e il Genio della scienza.
Sul fastigio troviamo il Commercio e l’Industria semisdraiati ai lati della Ricchezza, miti della società borghese. L’arco di sinistra mostra, sulle colonne, i quattro continenti l’Europa, l’Asia, l’Africa e l’America. Nelle nicchie invece sono rappresentati, a sinistra, la Fisica e, a destra, la Chimica. Sul fastigio, sdraiati, il Telegrafo, a destra, e il Vapore, a sinistra che affiancano la figura dell’Abbondanza. Si presenta dunque un’immagine positiva della scienza e del progresso capaci di unificare le diverse parti del mondo. Nel soffitto del porticato si notano una serie di tondi con divinità classiche. Gli dei raffigurati sono Diana, Crono, Venere, Giove, Mercurio e Giunone.
L’interno della galleria è un trionfo di stucchi e decori Liberty, contraddistinti dall’eleganza dello stile Neorinascimentale; è costituito da due strade che si incrociano ortogonalmente, coperte da una struttura in ferro e vetro. La volta in vetro e ferro, progettata da Paolo Boubée, riesce ad armonizzarsi perfettamente con la struttura in muratura: a ciò contribuisce lo stretto rapporto fra le strutture portanti in muratura e quelle in ferro.
Sul tamburo della cupola, decorato con finestre a semicerchio, è visibile la Stella di Davide, riproposta in tutte e quattro le finestre. La ragione della sua presenza è dovuta al fatto che la Galleria Umberto I è la sede storica della massoneria napoletana, in particolare della loggia massonica Grande Oriente d’Italia. La stella di David in questo caso rappresenta il simbolo della massoneria.
Nel pavimento sotto la cupola si trovano degli splendidi mosaici che rappresentano i venti e i segni dello zodiaco. Si tratta di un tema ricorrente il ciclo delle Quattro Stagioni con le sue simbologie: l’Inverno, la Primavera, l’Estate, l’Autunno. Nella tradizione iconologica, queste suggeriscono i diversi mutamenti della vita dell’uomo e sono connesse alla tradizione astrologica, scandita da influssi celesti sotto l’opera della divinità e di simboli correlati.
Ogni Stagione governa tre segni zodiacali: la Primavera governa il segno dell’Ariete, del Toro, dei Gemelli; all’Estate è legata al segno del Cancro, del Leone e della Vergine; l’Autunno si manifesta nella Bilancia, nello Scorpione e nel Sagittario; per concludere il cerchio con l’Inverno che è connesso al Capricorno, all’Acquario e ai Pesci. Questi segni zodiacali li ritroviamo nel pavimento in mosaico realizzati dalla ditta Padoan di Venezia nel 1952 a seguito dei bombardamenti della seconda guerra che danneggiarono buona parte della struttura; oggi possiamo rimirarli nuovamente sotto la cupola in piena luce.
Fonte: Wikimedia Commons