Indirizzo: piazza Luigi Miraglia, 393
Metro: linea 1, stazione Museo-stazione Dante-stazione Toledo-stazione Università
Orari di apertura al pubblico: 9,00- 12,00; 16,00-18,00
Chiesa di San Pietro a Majella, adiacente all’omonimo Regio Conservatorio di Musica, sorge all’incrocio tra via dei Tribunali e piazza Miraglia, nel cuore del Decumano Maggiore di Napoli.
Fu eretta, tra la fine del XIII e gli inizi del XIV secolo, sul luogo precedentemente occupato dai monasteri di Sant’Eufemia e Sant’Agata per volontà di re Carlo II d’Angiò e i lavori furono affidati all’architetto Pipino da Barletta.
L’intitolazione della chiesa si deve a colui “Che fece per viltade il gran rifiuto”, come riporta Dante nella sua Divina Commedia, ovvero Pietro Angeleri da Morrone, salito al soglio papale con il nome di papa Celestino V, il quale, nel 1296, dopo soli cinque mesi di pontificato, rinunciò alla carica per ritirarsi sulla Majella, in Abruzzo, e lì condurre vita eremitica.
Fu comunemente detta “di San Pietro a Majella” proprio in ricordo del romitaggio del santo sul massiccio montuoso.
Avendo subito nel corso dei secoli numerosi rimaneggiamenti l’edificio, esternamente, si presenta sobrio e austero mentre, all’interno, a questa severità gotica si affianca un’esuberanza barocca. L’originale impronta gotica è visibile nel maestoso campanile (alto 42 metri), posto sul lato sinistro della chiesa, costruito in tufo e piperno, diviso in tre ordini e culminante con una cuspide. Tra il secondo e il terzo piano della struttura si conservano gli stemmi di papa Celestino V.
Le prime opere di adeguamento si ebbero tra il 1319 e il 1341 e si estesero per tutta la seconda metà del Tre-Quattrocento, portando all’ampliamento dello spazio monasteriale. Altri lavori si resero necessari a inizio Seicento quando furono realizzati il portale d’ingresso principale – finanziato dalla principessa di Conca Giovanna Zunica Pacecco, moglie dell’ammiraglio Matteo di Capua – e le decorazioni dell’interno, per volere dell’abate dell’ordine dei celestini Fabrizio Campana, che provvedette a una rivisitazione barocca della chiesa che venne impreziosita dal frate e architetto Bonaventura Presti con stucchi e marmi. Questi fece sostituire il vecchio soffitto a capriate con un ricco e spettacolare cassettone ligneo, in cui insistono magnifici inserti barocchi. Al centro del soffitto si ammirano alcuni tra i massimi capolavori di Mattia Preti, tele raffiguranti storie di San Celestino e di Santa Caterina d’Alessandria che difende la sua fede.
Ulteriori rifacimenti si ebbero in epoca settecentesca e poi nella prima metà dell’Ottocento quando, a seguito dell’instaurazione della Repubblica di Napoli del 1799, l’ordine dei Celestini fu cacciato e l’edificio fu riadattato per ospitare, nel 1826, il Regio Conservatorio.
È ai lavori di restauro avvenuti tra il 1888 e il 1927 che si deve il ripristino dell’originario aspetto gotico della chiesa – come testimoniano gli archi a sesto acuto e le volte a crociera delle navate laterali – il cui culto, in occasione della sua riapertura, fu affidato all’ordine dei Servi di Maria.
L’interno, a tre navate, e pianta a croce latina, ospita navate laterali dalle quali si accede alle cappelle gentilizie nelle quali si possono ammirare opere di Francesco De Mura, Giacomo del Po, Giuseppe Troccola.
Nella prima cappella del transetto destro è una delle tante sculture e sepolcri rinascimentali qui presenti, il San Sebastiano, opera di Giovanni da Nola, mentre nella seconda cappella del transetto destro vi sono meravigliosi affreschi trecenteschi con storie di San Martino e, in quella del transetto sinistro storie della Maddalena.
Ma tante sono le meraviglie che questo luogo di culto offre agli occhi del visitatore: il cinquecentesco coro ligneo intarsiato, la decorazione barocca a intarsi di marmi policromi del presbiterio, delimitato da una magnifica balaustra dorata di Cosimo Fanzago, attraverso cui si accede al prezioso altare maggiore composto da ben 600 tipi di marmo, pietre dure e madreperla, capolavoro dei fratelli Bartolomeo e Pietro Ghetti.
E ancora, la Madonna che appare in sogno a papa Celestino di Massimo Stanzione, e lo splendido affresco raffigurante la Madonna del Soccorso, cui si lega la leggenda secondo cui il condottiero e ammiraglio Giovanni d’Austria, figlio di Carlo V, volle inginocchiarsi proprio dinanzi a questo dipinto per chiedere protezione prima di prendere il comando della flotta della Lega Santa durante la battaglia di Lepanto. Ottenuta la vittoria contro gli Ottomani, tutto l’esercito si recò in devoto pellegrinaggio davanti all’immagine sacra, deponendo le armi per ringraziare del dono ricevuto.