Complesso monumentale di San Gregorio Armeno

Indirizzo: via San Gregorio Armeno, 1
Metro: linea 1 stazione Dante-stazione Toledo-stazione Università
Orari di apertura al pubblico: lunedì-venerdì dalle 09,00 alle 12,00; sabato-domenica dalle 09,00 alle 13,00

Il Complesso di San Gregorio Armeno sorge sull’omonima via, detta anche “o’ vico de’ pasture”. Famosa nel mondo per le botteghe degli artigiani che di anno in anno rinnovano la tradizione del presepe napoletano, l’antica strada “Nostriana”, dal nome del vescovo Nostriano che qui, nel V secolo, fondò il primo ospedale per gli indigenti della città.

L’origine del complesso è incerta: secondo alcuni storici la prima chiesa fu costruita nel 930 circa sulle rovine di un tempio dedicato al culto di Cerere, nel luogo in cui secondo la leggenda preesisteva una chiesa fondata da Sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino; secondo altri, la datazione sarebbe ascrivibile all’VIII secolo, quando le suore basiliane giunsero in città in fuga da Costantinopoli, insediandosi nel convento e qui portandovi le reliquie di San Gregorio Armeno, patriarca di Armenia dal 257 al 331.

La chiesa è anche conosciuta come Chiesa di Santa Patrizia, protettrice di Napoli insieme a San Gennaro, in quanto in essa si custodisce un’urna con il corpo della Santa, meta di pellegrinaggio così come l’ampolla che conserva il suo sangue e che, miracolosamente, si scioglie ogni anno il 25 agosto, giorno della Sua ricorrenza.

Tradizione vuole che un cavaliere, in preda a grandi sofferenze, era solito pregare senza sosta la Santa affinché intercedesse per lui; in un momento di particolare fervore religioso aprì l’urna che ne conteneva il corpo, staccandone un dente. Nonostante Santa Patrizia fosse morta molti secoli prima dell’episodio, dalla gengiva fuoriuscì del sangue che, raccolto in due ampolle, ancor oggi, rinnova il miracolo della liquefazione.

L’edificio, nel corso dei secoli, ha subito diversi rifacimenti. Nel 1009, in età normanna, il monastero occupava un’intera area del centro antico grazie all’unificazione di quattro oratori lì vicini: di San Sebastiano, San Salvatore, San Gregorio e San Pantaleone, quest’ultimo fondato dal vescovo Stefano II intorno alla metà dell’VIII secolo sull’altro lato della strada, originariamente collegato al complesso monastico attraverso un cavalcavia sovrastante l’arteria urbana, cavalcavia che ancora oggi domina via San Gregorio.

Nel Seicento, sopra il cavalcavia, venne eretto il caratteristico campanile della chiesa che sovrasta il vicolo a mo’ di ponte servendo da collegamento tra la parte occidentale e quella orientale del complesso.

A partire dal 1572 l’intera struttura fu quasi interamente ristrutturata su progetto di Giovanni Francesco Mormando, e i lavori furono eseguiti da Giovanni Vincenzo Della Monica e Giovan Battista Cavagna.
I lavori riguardarono la ricostruzione di tutti i corpi di fabbrica preesistenti, con la realizzazione della nuova chiesa e, appunto, del campanile. Della Monica si occupò anche del completamento e ampliamento dei locali destinati alla clausura grazie all’acquisto di nuovi edifici confinanti, della demolizione della primitiva chiesa, più piccola rispetto alla nuova, e della creazione del portale d’ingresso in bugnato e piperno con il grande scalone monumentale caratterizzato da gradini in piperno con fasce laterali marmoree, aggiunte da Pietro Ghetti nel 1710.

Tra il 1576 e il 1577 venne invece completata la cupola maiolicata della chiesa e ultimato il chiostro. Nel 1579 Domenico Fontana si dedicò alla pavimentazione marmorea all’interno della chiesa, mentre tra il 1580 e il 1584 si diede inizio alla realizzazione del soffitto cassettonato, decorato da Teodoro d’Errico (Dirck Hendricksz), una delle più straordinarie testimonianze della bottega fiamminga del pittore, oltre a intagli di vari artigiani napoletani.

Nel 1606 fu completata proprio dal Cavagna la facciata esterna della chiesa e l’atrio col sovrastante coro delle monache. Ulteriori lavori furono eseguiti da Dionisio Lazzari, che si dedicò al nuovo refettorio, alle balaustre di alcune cappelle laterali e ad altre decorazioni marmoree all’interno della chiesa.

Intorno al 1745 altri interventi di restauro adeguarono l’aspetto estetico della chiesa al gusto rococò imperante per mano di Nicola Tagliacozzi Canale, che eseguì gli intagli del soffitto della navata, le grate del coro delle monache, stucchi e dorature interne, i cancelletti in ottone delle cappelle.

Quando, in età ottocentesca, Gioacchino Murat decretò la soppressione di tutti i monasteri presenti in città, anche il complesso di San Gregorio, inizialmente destinato alla chiusura, tuttavia fu risparmiato probabilmente anche perché era uno dei più ricchi della città. In tale occasione, furono portate in chiesa le reliquie dei santi che fino ad allora erano custodite in altri conventi poi soppressi. Dopo l’Unità d’Italia, furono traslate in chiesa anche le spoglie di Santa Patrizia, provenienti dalla Chiesa dei Santi Nicandro e Marciano, da quel momento qui venerata.
Nel corso del Novecento le monache erano ormai sempre più ridotte di numero e sempre più povere, così che l’ultima badessa, Giulia Caravita dei principi di Sirignano, decise di accogliere nel monastero una nuova congregazione, quella delle Suore crocifisse adoratrici dell’Eucaristia, che prese possesso dell’edificio il 4 dicembre 1922, quando rimase attiva solo una monaca benedettina, che fu anche l’ultima, Maria Peluso.

La chiesa oggi ci appare con un’elegante facciata costituita da una cancellata a tre arcate. L’interno è a navata unica con cinque cappelle laterali ricche di decorazioni di gusto barocco.

Custodisce meravigliose e pregiatissime opere d’arte, tra le quali affreschi di Luca Giordano, raffiguranti Storie di San Gregorio Armeno e San Benedetto, di Dionisio Lazzari e tele di Francesco Fracanzano con Storie di San Gregorio.

Quest’ultimo, opera dell’architetto Vincenzo della Monica, custodisce pregiate opere d’arte e su di esso si affacciano gli alloggi delle monache mentre al centro è una fontana marmorea seicentesca ai cui lati sono due statue del Bottiglieri raffiguranti Cristo e la Samaritana. Per non far perdere del tutto la visione del mondo esterno alle suore, si provvide inoltre alla costruzione di cinque belvedere.

Uscendo dalla chiesa si accede al convento e al chiostro monumentale.

Lungo i corridoi del portico sono visibili alcuni locali, quali il “salotto della Badessa”, il coro delle monache, il refettorio – costruito tra il 1680 e il 1685 da Dionisio Lazzari e Matteo Stendardo e che vede alle pareti numerosi affreschi: la Moltiplicazione dei pani e le Nozze di Cana, attribuiti alla bottega di Belisario Corenzio, le Storie del Vangelo eseguite nel primo Settecento da un autore della scuola di Francesco Solimena – le grate, un piccolo museo contenente utensili un tempo utilizzati dalle monache e la Cappella di Santa Maria dell’Idria.

L’ambiente più antico di tutto il complesso, decorata con tele di Paolo De Matteis sulle Storie della Vergine, incorniciate da decorazioni ad affresco di Francesco Francarecci, con un altare marmoreo opera di Pietro Ghetti, la volta affrescata sempre da De Matteis e una pavimentazione in mattonelle a mosaico bianche e nere risalenti al I secolo a.C. e al I d.C.

Dall’angolo sud-occidentale del chiostro si accede al coro dell’abside, o cappellone, che custodisce preziose opere d’arte e alla Cappella delle reliquie, dove sono conservate i numerosi reliquiari contenenti i resti di diversi santi di cui è andato arricchendosi il monastero nel corso dei secoli.
Sulla destra si aprono gli accessi agli ex parlatori del monastero, tra cui quello che conserva il busto di San Gregorio Armeno scolpito da Matteo Bottiglieri.

Il monastero conserva un corposo archivio composto da manoscritti databili tra il XVI e il XX secolo, relativi alla vita del complesso religioso, alle situazioni patrimoniali e a documenti relativi alla liturgia. Ma ciò che davvero sorprende è la raccolta musicale, una delle più importanti al mondo e che ha il suo cardine nel Settecento napoletano, annoverando non solo canti religiosi e profani databili Cinque-Novecenteschi, ma soprattutto composizioni di musicisti quali Gaetano Barbatiello, Georg Friedrich Händel, Franz Joseph Haydn, Giovanni Paisiello, Giovanni Battista Pergolesi, solo per citarne alcuni.